Cultura

Tirana, con Rama e Veliaj, da favela a città europea

Tirana ha vissuto una storia che ha del rocambolesco! Proclamata capitale dell’Albania nel 1920, ha conosciuto un periodo di rinascita architettonica durante l’influenza del fascismo che ha messo l’impronta più evidente nel centro della città e sul corso principale che va dal centro fino all’edificio centrale dell’Università di Tirana. Infatti, la piazza principale, l’attuale piazza “Scanderbeg”, e il corso “Deshmoret e Kombit” dovevano richiamare simbolicamente l’immagine del fascio littorio. Diversi edifici dell’architettura italiana hanno lasciato un segno evidente in una città che oggi è profondamente dinamica. È ovvio che l’architettura trasmetta cultura e crei dei ponti di comunicazione tra i popoli, che perfino l’isolamento duro del comunismo non è riuscito a fermare. Basti pensare che buona parte della popolazione albanese abbia imparato l’italiano seguendo i canali televisivi. C’è dunque un legame inscindibile tra l’Albania e l’Italia e a prova di questo ci sono dei dati rivelanti: più di mezzo milione di albanesi (più del 16% della popolazione albanese!) risiede e lavora in Italia; più di ventimila italiani vivono e lavorano solo nella città di Tirana!

La caduta del regime nel 1991 fece precipitare la città di Tirana in una situazione di gravissima crisi economica, sociale e culturale senza precedenti. È difficile parlare di bellezza riferendosi alle città albanesi durante il comunismo, detto ciò si potrebbe affermare che gli anni ’90 abbruttirono ancora di più ciò che rimase di estetico alla caduta del regime. In centro e in ogni quartiere iniziarono a pullulare in grande quantità dei chioschi brutti che esercitavano le più disparate attività commerciali. I due lati del torrente Lana, che trapassa la città, erano colmi di edifici abusivi che vi versavano le loro acque reflue. Dal ’92 la città dava l’impressione di una favela. Il governo centrale con i democratici di destra al potere riuscì a far vincere per alcuni mandati i suoi rappresentanti e a governare la città. Loro hanno governato pessimamente fino al 2000 lasciando Tirana nella miseria, disordine e in una terribile mancanza di senso civico ed estetico dando via libera alle costruzioni abusive creando un panorama degno per la “storia della bruttezza”. Proprio in questo momento penoso, i socialisti decisero di candidare come sindaco un artista da poco tornato da un’esperienza di studio in Francia, Edi Rama. Di fronte a tale scadimento, l’idea di candidare un artista fu davvero azzeccata. Sigmunt Bauman aveva proclamato che un membro di un’autorità collettiva politica doveva possedere, oltre alle capacità tecniche e decisionali, anche quell’estetica.

L’elezione di E. Rama come sindaco di Tirana nel 2000, senza alcun dubbio, segna lo spartiacque della storia recente di Tirana. Al grigio dei condomini del socialismo, i dieci anni del caos dal 1990 – 2000, i sindaci precedenti con le loro omissioni decisionali avevano permesso un’incredibile e onnipresente sozzeria. Il sindaco appena eletto si diede da fare non solo concretamente, prendendo delle decisioni importanti per uscire dal collasso della città, ma anche portando un approccio estetico alla guida della stessa. Con un progetto interessante proclamò una lotta al grigio e alla bruttezza dei condomini del socialismo, colorando i palazzi vecchi e disegnando dei quadri che davano più vita e più luce alla città in stato di shock ma anche scrivendovi delle frasi di speranza. Ci fu una vera lotta senza quartiere al brutto! L’impatto del suo lavoro fu talmente lodevole tanto da attrarre la simpatia della maggioranza di tutti gli albanesi, ma anche il riconoscimento delle istituzioni internazionali che non mancarono di supportarlo osservando i risultati del suo lavoro. A tal punto che nel 2004 Rama riuscì a vincere il prestigioso titolo “Miglior Sindaco del Mondo”. Con la simbologia di questo notevole riconoscimento si poteva affermare che Tirana era rinata ed era passata da una favela ad una città di respiro europeo trasformando in realtà l’idea che il potenziale del popolo non può essere realizzato senza l’aiuto di mediatori, che riescono a capire bene l’anima tormentata dei cittadini sotto il giogo del malgoverno.

Aldilà dei risultati ottenuti, penso che l’impresa di ampia portata di E. Rama dimostrò un fatto interessante: la contrapposizione di due culture diverse. Da un lato la “forma mentis” dei governanti dei primi anni ’90, che come dei capi tribù concepivano e gestivano la città alla stregua di un villaggio medievale sperduto, dove ognuno si fa le proprie regole. Non solo, ingenuamente alcuni “ideologi” che sostenevano questo modello di governare, cercavano di legittimare il guazzabuglio regnante Tirana con la lotta contro tutto ciò che rappresentava l’eredità del comunismo!  Questa idea è stata grave non solo per Tirana ma per l’Albania intera, dove si sono registrate delle incoscienti distruzioni di fabbriche ed imprese agricole in nome della lotta contro il comunismo. Dall’altro lato, E. Rama portò un’idea opposta che premeva soprattutto sul senso civico del vivere insieme! A suo modo di vedere, Tirana benché con diverse eredità culturali e storiche, doveva avere un respiro europeo. Con la sua tenacia riuscì a distruggere tutte le costruzioni abusive sul torrente “Lana” e lo fece diventare simbolo dell’ordine e della bellezza di Tirana, capovolgendo la realtà che rappresentava questo fiume negli anni novanta. Il suo secondo e terzo mandato alla guida di Tirana non furono facili perché dal 2005 i democratici di destra tornarono al governo centrale e cercarono in tutti i modi di ostacolare il lavoro del sindaco.

Negli anni novanta la popolazione di Tirana raddoppiò in seguito all’immigrazione interna. Dunque, una popolazione molto eterogenea con retaggi culturali assai variegati, ma sostanzialmente accomunati dalla voglia di una vita migliore e dignitosa. Rama riuscì a leggere bene questo potenziale della nuova popolazione di Tirana e ne divenne il mediatore verso una città più degna per tutti, i “vecchi” e “nuovi” rendendoli tutti inclini ad amare una città che si sentiva di tutti, nessuno escluso.

Malgrado questi essenziali passi avanti migliorando la città e la vita dei cittadini, l’opposizione non vedeva di buon occhio i successi di Rama. Aveva paura di una sua popolarità sempre in crescita. L’opposizione rappresentava un modello remoto di fare politica cercando di far leva solo sull’anticomunismo, che negli anni duemila sembrava fuori moda, sopratutto per i giovani.  La prova di questi due modelli culturali che si contrapponevano, è rappresentata dal modo di governare Tirana dal 2011 al 2015. In questo periodo un rappresentante del Partito Democratico di destra divenne sindaco a seguito di elezioni piene di irregolarità e accuse di brogli elettorali. Con una certa ripicca simbolica, il nuovo sindaco, erede della “forma mentis” dei sindaci che avevano governato Tirana negli anni Novanta, entrò solennemente nell’edificio del municipio alla presenza di un militante di destra, che sgozzava un montone e sporgeva il sangue sulla porta e sui muri dell’entrata. Il tribalismo fece ritorno a Tirana! Ben presto cominciavano a riapparire, anche se in ridotte dimensioni, dei chioschi e la sporcizia prese il sopravvento. Sembrava un ritorno agli anni novanta e questo fatto creò un disagio evidente nei cittadini della capitale, che non vedevano l’ora dell’arrivo delle successive elezioni.

Nel 2015, con il ritorno dei socialisti alla guida del comune di Tirana, il nuovo sindaco Erion Veliaj, con una straordinaria energia, in soli pochi mesi riuscì a fermare la deriva della città e mise il management del municipio sullo stesso modello che aveva costruito E. Rama. La città tornò di nuovo pulita e il vivere la città divenne molto più dinamico, bello e interessante. È proprio in questo periodo che aumentò molto il numero degli imprenditori italiani a Tirana, sopratutto nel settore della ristorazione.

Veliaj sta portando avanti il suo lavoro in maniera interessante abbinando il management quotidiano con la rinascita della cultura civica e del volontariato. Su quest’ultimo punto è rilevante menzionare che Veliaj è tra i primi politici a sviluppare un movimento di larga scala di volontari soprattutto giovani che hanno a cuore le sorti della città. È davvero ispirante osservare molti giovani che tutti i giorni partecipano alla semina delle piante per aumentare la superficie verde sulle colline della città, che collaborano per la pulizia dei quartieri e aiutano a distribuire cibo nelle mense per i poveri. Questa è una nuova cultura. Purtroppo nell’Albania socialista non c’è stato un autentico volontariato, ma un forzato tentativo di organizzare dei “sabati comunisti” seguendo il modello sovietico. Questo fatto sta creando le basi per un nuovo modo di vedere la città come casa propria, come un bene comune che va accudito con l’aiuto di tutti!

Con Veliaj ritornò di nuovo la speranza di vivere in una città europea nonostante le frustrazioni degli anni novanta. Come, a ragione, diceva Bauman la speranza non è mai pienamente frustrata; è mantenuta in uno stato di eccitazione continua, con l’interesse continuamente in movimento che si sposta su oggetti sempre nuovi.

Albert P. Nikolla

Docente di Antropologia ed Etica

Università di Durazzo

Albania